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Oh, un terribile timore;
La lietezza esplode
Contro quei vetri al buio
Ma tale lietezza, che ti fa cantare in voce
È un ritorno dalla morte: e chi può mai ridere -
Dietro, sotto il riquadro del cielo annerito
Riapparizione ctonia!
Non scherzo: ché tu hai esperienza
Di un luogo che non ** mai esplorato,
UN VUOTO NEL COSMO
È vero che la mia terra è piccola
Ma ** sempre affabulato sui luoghi inesplorati
Con una certa lietezza, quasicché non fosse vero
Ma tu ci sei, qui, in voce
La luna è risorta;
le acque scorrono;
il mondo non sa di essere nuovo e la sua nuova giornata
finisce contro gli alti cornicioni e il nero del cielo
Chi c'è, in quel VUOTO DEL COSMO,
che tu porti nei tuoi desideri e conosci?
C'è il padre, sì, lui!
Tu credi che io lo conosca? Oh, come ti sbagli;
come ingenuamente dai per certo ciò che non lo è affatto;
fondi tutto il discorso, ripreso qui, cantando,
su questa presunzione che per te è umile
e non sai invece quanto sia superba
essa porta in sé i segni della volontà mortale della maggioranza -
L'occhio ilare di me mai disceso agli Inferi,
ombra infernale vagolante
nasconde
E tu ci caschi
Tu conosci di ciò che è realtà solo quell'Uomo Adulto
Ossia ciò che si deve conoscere;
lei, la Donna Adulta, stia all'Inferno
o nell'Ombra che precede la vita
e di là operi pure i suoi malefizi, i suoi incantesimi;
odiala, odiala, odiala;
e se tu canti e nessuno ti sente, sorridi
semplicemente perché, per ora, intanto, sei vittoriosa -
in voce come una giovane figlia avida
che però ha sperimentato dolcezza;
Parigi calca dietro alle tue spalle un cielo basso
Con la trama dei rami neri; ormai classici;
questa è la storia -
Tu sorridi al Padre -
Quella persona di cui non ** alcuna informazione,
che ** frequentato in un sogno che evidentemente non ricordo -
strano, è da quel mostro di autorità
che proviene anche la dolcezza
se non altro come rassegnazione e breve vittoria;
accidenti, come l'** ignorato; così ignorato da non saperne niente -
cosa fare?

Tu doni, spargi doni, hai bisogno di donare,
ma il tuo dono te l'ha dato Lui, come tutto;
ed è Nulla il dono di Nessuno;
io fingo di ricevere;
ti ringrazio, sinceramente grato;
Ma il debole sorriso sfuggente
non è di timidezza
è lo sgomento, più terribile, ben più terribile
di avere un corpo separato, nei regni dell'essere - se è una colpa
se non è che un incidente:
ma al posto dell'Altro
per me c'è un vuoto nel cosmo
un vuoto nel cosmo
e da là tu canti.
Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale.
Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno cò suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? Che vuol dir questa
Solitudine immensa? Ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu sè queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ** fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.
Marco Bo Oct 2018
steps,
fear of thinking differently
fear of remaining alone
fear of feeling lost
fear of being in need
fear of going down to the bottom
fear of  finding a nightmare in your dream ............

by these suburbs of the world
the right way to get out of your maze
you're the only who knows

as every single step
fear of thinking differently
fear of remaining alone
fear of feeling lost
fear of being in need
fear of going down to the bottom
fear of  finding a nightmare in your dream..... .

  keep on dreaming!
...............

passi,
paura di pensare diversamente
paura di rimaner solo
paura di sentirti perso
paura di aver bisogno
paura di andare a fondo
paura di trovare un incubo nel tuo sogno............

presso queste periferie del mondo
la giusta strada per uscire dal tuo labirinto
la conosci solo tu
così come ogni singolo passo
paura di pensare diversamente
paura di rimaner solo
paura di sentirti perso
paura di andare a fondo
paura di aver bisogno
paura di trovare un incubo nel tuo sogno...

continua a sognare!

............
pasos,
miedo a pensar diferente
  miedo de quedarte solo
miedo de sentirte perdido
miedo de necesitar
miedo de ir a fondo
miedo de encontrar una pesadilla en tu sueño ............

en estos suburbios del mundo
la via correcta para salir de tu laberinto
solo tu la conoces
así como cada paso
miedo a pensar diferente
  miedo de quedarte solo
miedo de sentirte perdido
miedo de ir a fondo
miedo de necesitar
miedo de encontrar una pesadilla en tu sueño ...

  sigue soñando
Marco Bo Aug 2018
without filling the spaces of silence
without fear, contemplating them
as sweet twilights

without dressing the most beautiful dress
if not the one in your eyes

without interrupting but listening
even if you already know the words

here it is!
for once becoming the desired guest,
and the next day, looking at his empty chair,
  breathing in his joy
left in the morning breeze
until you meet again..............


senza riempire gli spazi del silenzio
senza paura, contemplarli
come dolci crepuscoli

senza vestire il vestito più bello
se non quello nei tuoi occhi

senza interrompere, ma ascoltando
anche se conosci già le parole

ecco!
per una volta diventare l'ospite desiderato,
e il giorno dopo  guardando la sua sedia vuota
respirare le sua felicità rimasta nella brezza del mattino
fino al prossimo incontro

..........................

sin llenar los espacios de silencio
sin miedo, contemplarlos
cómo dulces crepúsculos

sin vestir el vestido más hermoso
si no es el que está en tus ojos

sin interrumpir, pero escuchando
incluso si ya sabes las palabras

así!
por una vez convertirse en el invitado deseado,
y el dia siguiente mirando su silla vacía
respirar su alegria
en la brisa de la mañana
hasta la próximo encuentro
Oh, un terribile timore;
La lietezza esplode
Contro quei vetri al buio
Ma tale lietezza, che ti fa cantare in voce
È un ritorno dalla morte: e chi può mai ridere -
Dietro, sotto il riquadro del cielo annerito
Riapparizione ctonia!
Non scherzo: ché tu hai esperienza
Di un luogo che non ** mai esplorato,
UN VUOTO NEL COSMO
È vero che la mia terra è piccola
Ma ** sempre affabulato sui luoghi inesplorati
Con una certa lietezza, quasicché non fosse vero
Ma tu ci sei, qui, in voce
La luna è risorta;
le acque scorrono;
il mondo non sa di essere nuovo e la sua nuova giornata
finisce contro gli alti cornicioni e il nero del cielo
Chi c'è, in quel VUOTO DEL COSMO,
che tu porti nei tuoi desideri e conosci?
C'è il padre, sì, lui!
Tu credi che io lo conosca? Oh, come ti sbagli;
come ingenuamente dai per certo ciò che non lo è affatto;
fondi tutto il discorso, ripreso qui, cantando,
su questa presunzione che per te è umile
e non sai invece quanto sia superba
essa porta in sé i segni della volontà mortale della maggioranza -
L'occhio ilare di me mai disceso agli Inferi,
ombra infernale vagolante
nasconde
E tu ci caschi
Tu conosci di ciò che è realtà solo quell'Uomo Adulto
Ossia ciò che si deve conoscere;
lei, la Donna Adulta, stia all'Inferno
o nell'Ombra che precede la vita
e di là operi pure i suoi malefizi, i suoi incantesimi;
odiala, odiala, odiala;
e se tu canti e nessuno ti sente, sorridi
semplicemente perché, per ora, intanto, sei vittoriosa -
in voce come una giovane figlia avida
che però ha sperimentato dolcezza;
Parigi calca dietro alle tue spalle un cielo basso
Con la trama dei rami neri; ormai classici;
questa è la storia -
Tu sorridi al Padre -
Quella persona di cui non ** alcuna informazione,
che ** frequentato in un sogno che evidentemente non ricordo -
strano, è da quel mostro di autorità
che proviene anche la dolcezza
se non altro come rassegnazione e breve vittoria;
accidenti, come l'** ignorato; così ignorato da non saperne niente -
cosa fare?

Tu doni, spargi doni, hai bisogno di donare,
ma il tuo dono te l'ha dato Lui, come tutto;
ed è Nulla il dono di Nessuno;
io fingo di ricevere;
ti ringrazio, sinceramente grato;
Ma il debole sorriso sfuggente
non è di timidezza
è lo sgomento, più terribile, ben più terribile
di avere un corpo separato, nei regni dell'essere - se è una colpa
se non è che un incidente:
ma al posto dell'Altro
per me c'è un vuoto nel cosmo
un vuoto nel cosmo
e da là tu canti.
Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale.
Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno cò suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? Che vuol dir questa
Solitudine immensa? Ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu sè queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ** fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.
Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L'ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s'affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale.
Nasce l'uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell'umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno cò suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? Che vuol dir questa
Solitudine immensa? Ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell'innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell'esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors'altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai;
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu sè queta e contenta;
E gran parte dell'anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m'ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ** fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perché giacendo
A bell'agio, ozioso,
S'appaga ogni animale;
Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
Forse s'avess'io l'ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.
Rocksteadylety Apr 2020
Ayer conosci el Poderoso Kambo
En una ceremonia, es veneno lo que te estan dando
Desde la espalda de una rana, tres puntitos a mi piel, vomito y me sana
Sana sana espaldita de rana
Te doy las gracias
Hoy me desperte con ganas
Y en mis sueños recorde esas memorias Lindas
Que atraves de trauma, tristesa, y abuso a ambos se nos olvida
Respiro profundo
Aire libre
Ranita venenosa tu medicina me sirve
Y por hoy vivire en el lla y en el presente
Algo que no e podido hacer ni tener en mente.
Despues de mi primer ceremonia de kambo
Oh, un terribile timore;
La lietezza esplode
Contro quei vetri al buio
Ma tale lietezza, che ti fa cantare in voce
È un ritorno dalla morte: e chi può mai ridere -
Dietro, sotto il riquadro del cielo annerito
Riapparizione ctonia!
Non scherzo: ché tu hai esperienza
Di un luogo che non ** mai esplorato,
UN VUOTO NEL COSMO
È vero che la mia terra è piccola
Ma ** sempre affabulato sui luoghi inesplorati
Con una certa lietezza, quasicché non fosse vero
Ma tu ci sei, qui, in voce
La luna è risorta;
le acque scorrono;
il mondo non sa di essere nuovo e la sua nuova giornata
finisce contro gli alti cornicioni e il nero del cielo
Chi c'è, in quel VUOTO DEL COSMO,
che tu porti nei tuoi desideri e conosci?
C'è il padre, sì, lui!
Tu credi che io lo conosca? Oh, come ti sbagli;
come ingenuamente dai per certo ciò che non lo è affatto;
fondi tutto il discorso, ripreso qui, cantando,
su questa presunzione che per te è umile
e non sai invece quanto sia superba
essa porta in sé i segni della volontà mortale della maggioranza -
L'occhio ilare di me mai disceso agli Inferi,
ombra infernale vagolante
nasconde
E tu ci caschi
Tu conosci di ciò che è realtà solo quell'Uomo Adulto
Ossia ciò che si deve conoscere;
lei, la Donna Adulta, stia all'Inferno
o nell'Ombra che precede la vita
e di là operi pure i suoi malefizi, i suoi incantesimi;
odiala, odiala, odiala;
e se tu canti e nessuno ti sente, sorridi
semplicemente perché, per ora, intanto, sei vittoriosa -
in voce come una giovane figlia avida
che però ha sperimentato dolcezza;
Parigi calca dietro alle tue spalle un cielo basso
Con la trama dei rami neri; ormai classici;
questa è la storia -
Tu sorridi al Padre -
Quella persona di cui non ** alcuna informazione,
che ** frequentato in un sogno che evidentemente non ricordo -
strano, è da quel mostro di autorità
che proviene anche la dolcezza
se non altro come rassegnazione e breve vittoria;
accidenti, come l'** ignorato; così ignorato da non saperne niente -
cosa fare?

Tu doni, spargi doni, hai bisogno di donare,
ma il tuo dono te l'ha dato Lui, come tutto;
ed è Nulla il dono di Nessuno;
io fingo di ricevere;
ti ringrazio, sinceramente grato;
Ma il debole sorriso sfuggente
non è di timidezza
è lo sgomento, più terribile, ben più terribile
di avere un corpo separato, nei regni dell'essere - se è una colpa
se non è che un incidente:
ma al posto dell'Altro
per me c'è un vuoto nel cosmo
un vuoto nel cosmo
e da là tu canti.
NON SONO IL TUO FIUME

https://soundcloud.com/carlos-863906007

Non conosci il mio dolore,
non sono il tuo fiume,
lasciami.
Lascia,
lascia che io soffra,
lascia che il mio fiume scorra,
non sono il tuo fiume, non sono te.
Dimentica,
dimentica ogni cosa mia,
lascia che me ne vada lontano,
lontano da tutto, e che affoghi.
Lasciate che affoghi nella vita,
lasciate che tutto continui,
nel fiume sinuoso.
Non sono tuo,
lascia che il mio fiume continui,
lascia che il mio fiume scorra libero,
lascia che affoghi nelle sue acque.
Lascia che canti,
che canti in italiano,
che faccia le cose sbagliate, sono mie.
Lascia che abbia la mia vita.
Voglio sbagliare
la mia vita è così,
affogherò,
e sopravvivrò.
E il fiume scorrerà,
un altro giorno in calma,
dopo la tempesta,
delle mie acque.
È il mio fiume,
non sono il tuo fiume,
non sono tuo,
nel mio fiume.
vivo ancora,
vivo,
E se soffro,
è un bene,
perché così mi sento.
Mi sento così vivo galleggiando,
nella mia corrente d'acque
nelle acque del mio fiume,
che va e viene,
e se affogo,
tornerò a galla,
più forte,
Il dolore,
è parte,
di me.,
E poi,
canterò,
riderò forse.
nel mio fiume vivo.
E se canto, è un bene,
questa è la mia canzone d'acque,
acqua dei miei fiumi nelle mie vene.
Questo è il fiume della canzone della mia vita.



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No sabes mi dolor,

no soy tu río,

déjame.

Deja,

deja que sufra,

deja que mi río corra,

no soy tu río, no soy tú.

Olvida,

olvida todo lo mío,

deja que me vaya lejos,

lejos de todo, y me ahogue.

Dejad que me hunda en la vida,

dejad que todo continúe,

en el río sinuoso.

No soy tuyo,

deja que siga mi río,

deja que corra mi río libre,

deja que me ahogue en sus aguas.

Deja que cante,

que cante en italiano,

que haga mal las cosas, son mías.

Deja que tenga mi vida.

Quiero equivocarme

es mi vida así,

me ahogaré,

y sobreviviré.

Y el río correrá,

otro día en calma,

tras la tempestad,

de mis aguas.

Es mi río,

no soy tu río,

no soy tuyo,

En mi río.

aun vivo,

vivo,

Y si sufro,

eso es bueno,

porque así me siento.

Me siento tan vivo flotando,

en mis corriente de agas

en las aguas de mi río,

que va y viene,

y si me ahogo,

saldré a flote,

más fuerte,

El dolor,

es parte,

de mí.,

Y luego,

cantaré,

reiré quizás.

en mi río vivo.

Y si cantó, es bueno,

esta es mi canción de aguas,

agua de mis ríos en mis venas.

Este es el río de la canción de mi vida.

....

I AM NOT YOUR RIVER

You don't know my pain,
I am not your river,
let me be.
Let,
let me suffer,
let my river run,
I am not your river, I am not you.
Forget,
forget everything about me,
let me go far away,
far from everything, and drown.
Let me drown in life,
let everything continue,
in the winding river.
I am not yours,
let my river follow its course,
let my river run free,
let me drown in its waters.
Let me sing,
sing in Italian,
do things badly, they are mine.
Let me have my life.
I want to make mistakes
my life is this way,
I will drown,
and I will survive.
And the river will run,
another day in calm,
after the storm,
of my waters.
It is my river,
I am not your river,
I am not yours,
in my river.
I am still alive,
alive,
And if I suffer,
that is good,
because that is how I feel.
I feel so alive floating,
in my current of waters
in the waters of my river,
that comes and goes,
and if I drown,
I will float back up,
stronger,
The pain,
is part,
of me.,
And then,
I will sing,
I will laugh perhaps.
in my living river.
And if I sing, it is good,
this is my song of waters,
water of my rivers in my veins.
This is the river of the song of my life.

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28- VIII -2025

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— The End —